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Sempre nominato, sovente calunniato, molto amato ma sostanzialmente poco letto e ancor meno compreso, Leopardi è una presenza imbarazzante nella storia del pensiero europeo; anzi, a dispetto dell'immensa mole della bibliografia relativa, ancora un'immensa assenza, una grande, affascinante sfida. Gli autori di questo volume si sono ripromessi - "semplicemente" - di leggere Leopardi; per il piacere dell'avventura, per amore del rischio. Questo volume costituisce una specie di «diario di bordo» del loro viaggio nell'immenso universo leopardiano; la testimonianza del tentativo di aprire un colloquio quant'è possibile onesto con quello che è stato definito «uno dei grandi saggi dell'umanità»: senza costringere nei limiti dei propri pregiudizi la sua libertà; senza provare a semplificare la sua complessità; senza cedere al desiderio di ignorare le sue contraddizioni o, peggio ancora, di scioglierle; provando a condividere il suo gusto per le domande e la sua diffidenza per le risposte. Questo, lo scopo dichiarato: lasciar parlare Leopardi «senza prestargli qualità che non ha» ovvero senza forzare quello che dice per farlo entrare in uno schema precostituito; mettersi in ascolto; umilmente, sapendo quant'è difficile ascoltare e vedere. Di qui l'ampio e sempre insufficiente spazio lasciato alla parola di Leopardi: in modo da fare di questo libro, anche, una sorta di antologia del pensiero leopardiano. L'idea era di mostrare Leopardi come si mostrerebbe un panorama, il cielo stellato, i monti e gli oceani della luna. Sforzandosi di evitare, nei limiti del possibile, la tentazione, decisamente troppo ricorrente tra gl'interpreti, di rinchiudere l'imprendibile ricchezza di Leopardi in una formula. Il titolo che gli autori hanno voluto assegnare a questo libro sembra denunciare il loro fallimento, o la difficoltà di mantener fede ai propri propositi; ma il termine di immoralista che hanno applicato a Leopardi è tale, sia per la provocatorietà sia per l'ironia, da non poter essere assimilato a etichette pretenziose come quella tradizionale di pessimista o quella, più aggiornata, di nichilista: esso serve semmai a prendere le distanze da quelle, ormai palesemente inadeguate, definizioni; e ad attirare l'attenzione su un aspetto poco noto ma molto importante del Leopardi filosofo: sul suo desiderio d'essere il nuovo, eversivo Machiavello: il duro critico della società, il moralista-immoralista che pretende di chiamare le cose col loro nome e, poiché le virtù non sono praticate, propone di abolirne i nomi; l'intransigente cultore dell'acerbo vero che, avendo scoperto che «il mondo è una lega di birbanti contro gli uomini da bene» e «l'educazione buona, o così chiamata, consiste in gran parte nell'ingannare gli allievi», vuole spezzare le tavole della morale corrente perché sono al servizio di questo inganno e della trionfante alleanza dei «vili contro i generosi».